Verso la Conferenza Urbanistica Cittadina.

ConferenzaDomani si conclude l’iter della conferenza municipale. A livello di municipio si sono riuniti i tavoli di lavoro, i cittadini e le associazioni hanno stabilito quali sono i valori da considerare e tutelare nella gestione del territorio e hanno presentato i loro progetti.

Un lavoro enorme, messo in bella copia dalla moltitudine di architetti coinvolti a vario titolo sul progetto.

A giudicare dal tempismo, sembra la letterina dei cittadini a Babbo Natale, in realtà sono messi nero su bianco tutti i temi e le problematiche che attanagliano questo municipio a partire dall’abbandono di vaste aree di territorio, dalle minacce di cementificazione e le opere di  urbanizzazione aggressiva che sono state portate avanti in questi ultimi anni.

Nel nostro quartiere le battaglie le abbiamo dovute portare avanti personalmente, Alessandra Tallarico ha redatto e discusso due dei 41 progetti inseriti nel documento finale.

Il primo riguarda la creazione di un’isola ambientale, la prima nel municipio e forse anche nella città. Si snoda lungo il percorso che collega i plessi dell’istituto scolastico comprensivo di quartiere.

Un percorso, quello che unisce casa e scuola dell’obbligo che deve essere sostenibile, sicuro e accessibile a tutti, come deve essere il percorso di crescita dei cittadini del domani.

Il secondo progetto si rifà ad una proposta di legge presentata in Regione Lazio e prevede l’ampliamento del Parco dell’Appia Antica alle aree di pregio dell’ Agro Romano comprese nel Municipio.

L’Agro Romano e il fosso della Cecchignola sono gli ultimi baluardi per una città sostenibile, per la sopravvivenza della biodiversità e un ambiente naturale che ci possa permettere di vivere, e non di sopravvivere in scatola tra metallo e cemento.

Questi sono solo due dei progetti, e li conosco bene perché ho partecipato alla loro stesura, ma i cittadini chiedono a gran voce la realizzazione di lunghe dorsali ciclabili sulla via Laurentina e la Via Cristoforo Colombo, la salvaguardia dei casali storici e la valorizzazione di uno dei progetti visionari più grandi mai realizzati in Italia, l’ E.U.R.

#Informatour – 30 novembre alla C.A.E.

informatourScrivo due righe da attivista, osservatore, fotografo.

La Guerra (perché “Siamo in Guerra” cfr.) sta mietendo le sue vittime e sta facendo i suoi prigionieri, inutile nasconderlo e la necessità di serrare i ranghi è evidente. “Stringiamoci a coorte…” grida una famosa canzone, e niente di meglio che un incontro tra municipi, tavoli, attivisti e portavoce.

Luci ed ombre del Movimento romano sono apparse ed hanno avuto il loro spazio. Spero che guardando il quadro con attenzione si riesca a distinguerle chiaramente. Di seguito racconterò ciò che mi è piaciuto e ciò che ritengo possa essere migliorato, ritenendo il quadro, nel suo complesso, decisamente positivo.

Dopo l’evento del Circo Massimo, mettere in piedi una decina di gazebi al CAE sembra un gioco da ragazzi, ma io non sono abituato a dare tutto per scontato, soprattutto quando si tratta di volontariato, quindi , un complimento all’organizzazione, tutto è andato come doveva andare e questo è già un risultato grandioso.

Gli attivisti, molti i presenti, alcuni a far presenza, altri a lavorare, altri ancora a cercare di capire che succede. Il denominatore comune è che ormai ci riconosciamo tutti, in un modo o nell’altro ci leggiamo negli sguardi, sappiamo chi siamo. Questo è un male e un bene allo stesso tempo. E’ male, perché siamo pochi, troppo pochi per prendere in mano una città e rivoluzionarla fin nelle fondamenta. E’ bene, perché possiamo dare un volto alle nostre fiducie e alle nostre paure e questo le rende reali, ci permette di prendere decisioni  e sfidare il futuro.

I Portavoce, beh  stanno diventando sempre di più i portatutto, mi rendo conto che volenti o nolenti abbiamo affidato a loro tutto il peso del Movimento, a tutti i livelli, credibilità, strategia, azione e comunicazione. Poi restiamo increduli davanti ad un’espulsione, un errore o la dichiarazione di un portavoce.

Molti di loro sono talmente abituati a portare un fardello così grande che non capiscono più quando si aggiunge o si toglie un pezzo, vanno avanti per la loro strada, e qualche volta se la prendono pure con qualche malcapitato che gli passa davanti, senza fare troppe distinzioni.

Voleva essere un evento di accoglienza e informazione, si è trasformato in un incontro tra addetti ai lavori, ma senza spazi di lavoro, ma dove si è lavorato tanto lo stesso, ma forse non ce ne siamo accorti o forse abbiamo fatto finta di niente.

Le ombre più buie, quelle comunicative tanto spesso sottolineate, secondo me sono concettuali, partono dal messaggio ancor prima del canale. Finché l’informazione è: “cosa hanno fatto i portavoce”, l’attivismo sarà fermo. In attesa di qualcosa da fare.

Quando l’informazione sarà “cosa hanno fatto gli attivisti e cosa c’è da fare” la situazione può cambiare in meglio e il sogno diventare realtà.

Bike to Work & Bike to School Day

btwQuesta è la settimana Europea della Mobilità sostenibile ( mobiltyweek.eu ) All’interno di questo evento si svolgono numerose iniziative, alcune patrocinate da enti istituzionali, altre di tipo spontaneo. La giornata del Bike to Work è una di quelle.

Almeno nel contesto romano, sono attivi diversi movimenti di ciclisti urbani senza tante bandiere ne padrini che si radunano e organizzano iniziative di sensibilizzazione per una mobilità senza automobile.

Partecipando a queste iniziative ci si rende facilmente conto che la mobilità alternativa è solo una questione di volontà individuale e collettiva.

Sentirsi parte di una comunità, per quanto eterogenea e disorganizzata, infonde sicurezza. In compagnia si fanno cose che da soli non si avrebbe mai il coraggio di fare. In compagnia ci si rende conto che le difficoltà che ci si parano davanti, spesso, sono solo dei pretesti dietro i quali nascondiamo un rapporto con la città non proprio positivo.

Ci rendiamo conto che l’automobile, oltre ad inquinare, occupare spazio, costare un sacco di soldi, e soprattutto incatenarci nel traffico ci rende vittime di noi stessi, del nostro egoismo e della nostra solitudine.

In auto creiamo la nostra sfera di autocompiacimento, di isolamento da un mondo che non ci piace, da una città troppo piena di individui e senza una comunità, un posto dove non si riesce a stare da soli ma nemmeno in compagnia.

La ruota che corre sull’asfalto, il piede a terra al semaforo, i rumori più sottili ci permettono di avere quel contatto fisico con la città che, forse, ancora ci permette di amarla nonostante i suoi difetti, le strade, le buche, l’amministrazione pubblica e i cittadini che l’hanno scelta.

Se vogliamo che la nostra città sia viva, fatta di persone, di sentimenti e di colori dobbiamo ritrovare il nostro rapporto con gli altri, le strade, gli animali e gli alberi che la popolano; chiudersi dentro una scatola di ferro non penso che sia il modo migliore per farlo.

Oggi siamo andati al lavoro in bici, insieme, in allegria, tornati bambini almeno per quella mezz’ora che per molti assomiglia più ad una via crucis piuttosto che un semplice viaggio.

Domani con i bambini andremo a scuola nella giornata del Bike to School perché anche loro hanno il diritto di godersi il viaggio per andare a scuola, divertendosi, contribuendo ad una città più vivibile e ad una comunità migliore.

Foto in vacanza

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Manca poco, si parte !

Ma perché le foto delle vacanze non sono mai un granché ? La risposta è fin troppo semplice: si parte per fare una vacanza non per fare foto !

Sembra fin troppo banale, ma è la verità, chi fa delle foto di viaggio una professione organizza il proprio viaggio in funzione delle foto che vuole ottenere, non dei posti che vuole visitare.

Noi fotografi della domenica, weekend warrior per essere più anglo-fighi, siamo sempre costretti a soluzioni di compromesso e anche il risultato sarà di compromesso, ma tanto più riusciremo a conciliare le nostre esigenze di fotografo con quelle di una vacanza per noi e per chi ci accompagna, tanto più riusciremo ad ottenere grandi risultati.

Spesso quello che ci meraviglia è la scarsa quantità di “foto buone” rispetto al volume generale scattato, e tanto più siamo “distratti” a goderci la vacanza tanto più le nostre foto sono standard, abbracciati sotto al monumento. Non c’è niente di male, tutt’altro ! Ma il nostro ego artistico ne soffre, si sente costretto in una gabbia di mediocrità dalla quale vorrebbe uscire fuori.

La strada è tutt’altro che semplice, ma qualche indicazione si può trovare.

Il mattino ha l’oro in bocca, sempre. Tante buone foto le ho fatte alzandomi prima dell’alba, quando tutto il resto della famiglia ancora dorme, e forse dormirà ancora per qualche ora. Con tutta calma e con la migliore luce che potessi avere. Il mattino presto è sempre ricco di situazioni insolite, sia immersi nella natura che nel pieno di una città metropolitana.

Le cartoline si comprano. Tante volte ci ritroviamo a cercare la “foto da cartolina”, con risultati non proprio fantastici, soprattutto se ci confrontiamo con i migliaia di tentativi analoghi, in una specie di gara a chi tira fuori il risultato migliore dalla stessa inquadratura.  La Torre Eiffel, il Colosseo, S.Pietro … sono sempre loro e spesso non abbiamo nemmeno accesso al punto di vista migliore per fotografarli. accontentiamoci, e cerchiamo invece qualcosa di unico, raccontiamo  l’emozione che ci ha portato lì, un dettaglio che ci ha colpito. Questo è quello che distingue le nostre foto da quelle sulla bancarella.

Pianificare. Pianificare vuol dire avere la macchina pronta al momento giusto, che non è “sempre”, pianificare vuol dire trovarsi all’ora giusta e con la giusta luce. Pianificare, vuol dire sostanzialmente dedicare un pezzetto della vacanza alla fotografia, in maniera ragionata, non casuale, vuol dire guardare le previsioni del tempo sperando che ci sia qualche nuvola, e alzarsi presto per fotografarla, e poi soddisfatto l’artista che è dentro di noi, essere anche i primi a fare un tuffo in piscina !

Probabilmente faremo meno foto, ma qualcuna ci piacerà di più

 

Catturare l’emozione

Alessandro di Battista emozionatoDescrivere una emozione è uno degli obiettivi più difficili e al contempo più remunerativi dal punto di vista del risultato.

Fotografare, vuol dire scrivere, disegnare, esprimersi.

Fotografare emozioni come la gioia, la paura, il disagio dell’essere umano rende il nostro racconto completo, gli da’ un senso, e la fotografia non è più un gesto tecnico fine a se stesso, ma un emozione essa stessa che rivive ogni volta che si guarda la foto.

Questo è uno di quei momenti, dove ho cercato di documentare più che rappresentare, un momento ne quale ero coinvolto anche io e forse anche per questo non so se è uno dei più riusciti.

Siamo sul palco della serata di fine campagna elettorale per le Europee 2014 del Movimento 5 stelle, piazza S.Giovanni era già abbastanza piena, il sole al tramonto e si respirava l’aria dei grandi eventi di folla.

Salgono sul palco i parlamentari in carica, non sono ovvamente tutti, saranno una quarantina con avanti i due alfieri Luigi di Maio e Alessandro di Battista, il primo cerca di prendere la parola al microfono, ma l’urlo della folla glielo impedisce.

Da un urlo confuso si comincia a distinguere un coro “Grazie, grazie” e a quel punto si comincia a percepire la difficoltà. L’emozione di chi era sul palco.

L’emozione contagia tutti, parlamentari,  volontari, tecnici, tutti queli che stavano la sopra per un motivo o per l’altro, e anche io non ne ero immune. Scatto foto a raffica con la vista un po’ annebbiata e la mente che mi diceva: “è il momento! è il momento!”.

Il momento di documentare qualcosa di speciale, in fin dei conti non ero lì in viaggio premio, nemmeno a salutare quattro amici, ero lì per fare foto e raccontare un evento unico, un pezzetto di storia, bene o male che sia.

Ed eccolo lì, Alessandro di Battista, una delle icone di questo movimento, gli occhi lucidi, la necessità di allontanare lo sguardo dalla folla osannante, il dovere di recuperare contegno perché da li a qualche minuto, a quella folla, avrebbe parlato appassionatamente.

Fare buone foto è sempre difficile, in questa situazione è stata una vera sfida, in quel momento la parte irrazionale di me voleva andare li e stringegli la mano, piuttosto che fargli una foto, voleva buttarsi nella folla e partecipare a quell’urlo liberatorio che spezzasse la tensione. Ma nulla di tutto questo, dovevo fare il meglio che potevo.

Il risultato tecnico non mi soddisfa del tutto, ma sono contento di aver colto l’attimo, di averlo cercato nella direzione giusta, e catturato.

Sono abituato ad essere più riflessivo nelle foto, non sapevo quanto il coinvolgimento nella storia ne distorca il racconto e, da questo punto di vista, devo crescere ancora molto. Un evento come questo ha mille altri racconti da cui prendere spunto, con cui confrontarsi in cui scoprire il proprio essere fotografo.

 

Chi sono e chi vorrei essere.

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La fotografia, soprattutto da quando mi sono rimesso a “studiare”, mi ha permesso di guardare alle cose che faccio in un modo diverso, meno soggettivo, meno coinvolto.

Tempo fa lessi un articolo su come scegliere l’attrezzatura migliore, qual è la migliore macchina fotografica? Il migliore obbiettivo? ecc.  tralasciando elucubrazioni tecniche e tecnologiche, la risposta più semplice è: ”Quella che ti garantisce il risultato migliore!”

Ed è proprio partendo ai risultati, dal guardare le proprie foto che ci si rende conto di quanto siamo diversi da quello che vorremmo essere, cosa facciamo invece di cosa vorremmo fare.

Quante volte abbiamo acquistato, o solo desiderato, un obiettivo specialistico come un macro, uno zoom, un super tele (non il pallone !) per poi guardarlo impolverarsi dentro un armadio, o peggio, subendone il peso nello zaino per poi rendersi conto di usarlo troppo poco ?

Se solo avessimo guardato meglio le nostre foto, ci saremmo accorti che non c’era nemmeno una libellula, una farfalla, un gabbiano in volo e avremmo sicuramente valutato diversamente l’oggetto, lo strumento.

Oggi comincio a sentire quel peso inutile, guardo le mie foto e cerco di capire chi sono, cosa faccio,  rallento la ricerca di un modello e passo allo sviluppo di qualcosa, qualcosa che sia mio, cerco qualcosa che sia “io”.

Non è facile, ma quando c’è da costruire niente è facile, con le cose, le persone, figuriamoci con se stessi. Qualche cosa di buono lo trovo: sincerità, semplicità e le mie foto migliori lo sono, ma anche i miei difetti sono nelle foto, li riconosco tutti.

 

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Attivismo e Fotografia due grandi passioni

10342783_10201909650483032_5421087239655674627_nDifficile dire chi viene prima, questa è una storia che comincia tanto, tanto tempo fa.

Quando ero ancora un ragazzo ricevetti in regalo la mia prima macchina fotografica instamatic, perché le foto, allora, si chiamavano istantanee, anche se aspettavi un mese per vederle. Era una di quelle macchinette tutte di plastica, con il rullino a cartuccia e il flash a cubo uso e getta. E come tutti facevo le foto alle gite scolastiche e durante le vacanze coi nonni.

Da li fino ad oggi mi sono sviluppato i rullini, stampato le foto, intossicato con gli acidi, speso una fortuna in macchinette e obiettivi, libri e viaggi e tutto quanto assecondasse la crescente passione.

Oggi qualcuno mi chiama addirittura maestro o professore, giusto perché gli ho svelato qualche trucchetto, ma quello che ho da imparare è sempre molto di più di quello che posso avere da insegnare.

Con un po’ di esperienza in più, però, mi rendo conto che le passioni assecondano il proprio desiderio di trovarsi un posto nel mondo, di esprimere la propria personalità nella complessa società in cui viviamo.

Da qui a pensare di fare qualcosa per “cambiarlo” il mondo il passo è relativamente breve. E’ vero, da soli non si cambia il mondo, ma oggi, per me è sufficiente pensare di far parte di quel cambiamento, far parte di quelle persone che pensano positivo e credono che il domani sarà migliore di oggi, e ogni giorno mettono un granellino di sabbia per costruirlo.

Questa foto, non è una delle mie migliori ma sicuramente appartiene a uno dei giorni migliori, uno di quei giorni dove pensi di aver messo un granellino al posto giusto, uno dei granellini che ha contribuito a far diventare deputato al Parlamento Europeo quel ragazzo con la camicia rossa e ha permesso costruire quel gradino da cui  metttere granelli di sabbia in un posto fino ad oggi inaccessibile.